Se non capiamo perché il "tutorial" andato in onda su "Detto fatto" (Rai 2), che insegna come fare la spesa coi tacchi sia un problema, siamo evidentemente parte di quel problema.
Non è che "le femministe" impazzite ce l'hanno con la tizia che usava la corsia del supermercato come fosse una "passerella" sui suoi tacchi vertiginosi per qualche assurdo, incomprensibile motivo (qua trovate qualche motivo per cui le femministe hanno evidenti problemi con la sessualità e sono praticamente sempre frigide. O troie, come preferite).
Il problema di quel tutorial -e non è certo cosa nuova- è la rappresentazione del femminile, sono gli stereotipi, lo svilimento e l'umiliazione continui delle donne, dei loro corpi, dei loro desideri.
Per di più veicolato, ancora una volta, da una rete del servizio pubblico.
Non si tratta di essere bigotte impaurite e scandalizzate dalla sessualità, anzi. Molte di noi passano la vita a ribadire la libertà di ciascuna di essere "indecorosa e libera", di eccitare, di ammiccare, di giocare con la propria sessualità. Ma non sottomettendola necessariamente allo sguardo maschile che vorrebbe indirizzarla verso desideri e immagini che non sono le nostre. Oh, sì, volendo possiamo fare anche questo, consapevolmente e in piena libertà.
Sempre 'sta cosa dell'autodeterminazione e della libertà di scelta che ci sovrasta.
Quando invece la sola rappresentazione delle donne, della loro (nostra!) sessualità e sensualità è fatta a uso e consumo di un mondo intriso di maschilismo, allora no, non ci stiamo.
Sono decenni che i media ci raccontano così. Angeli del focolare, sante, mignotte quanto basta per non essere eccessivamente volgari (qua si potrebbe aprire un capitolo su cosa sia la volgarità). Allora via a minigonne inguinali nei programmi di calcio, tette e culi per vendere qualsiasi cosa, una sessualità fintamente libera, perché non sono mai il nostro desiderio o il nostro sguardo ad essere in primo piano. La nostra sensualità, i nostri corpi, i nostri desideri devono essere sempre a vantaggio del maschile. Questa è la sola narrazione che ci viene offerta, come se non esistesse altro.
Peggio.
Quando altro c'è si trovano altri modi per sminuirlo, per rimetterlo al suo posto. Allora alla Rettrice della Sapienza si chiede chi porta a scuola i figli, le ricercatrici sono "le fatine delle cellule", le dottoresse perdono il diritto al cognome, delle sportive ci interessa solo il "lato B", la classifica di quanto sono sexy.
Sminuire, sempre e comunque. Perché il potere, la cultura, l'eccellenza in qualsiasi campo, se è al femminile fa paura, perché rischia di crepare irrimediabilmente un sistema che vuole andare avanti senza donne da un paio di migliaia di anni. Mai protagoniste, solo comparse.
Questo è quello che vediamo ogni giorno, che ogni giorno vedono ragazzine e giovani donne, ragazzini e giovani uomini.
Facile capire che tipo di messaggio passerà.
La donna è un pezzo di carne, deve essere bella, provocante ma non troppo, rassicurante ma un po' porca. Mai troppo intelligente, mai troppo di successo. Che stia al suo posto, insomma. E che non provi a sconfinare.
Questo è il problema di quel tutorial.
È quello che rappresenta, che racconta.
Donne sempre in cerca di approvazione maschile, donne sempre in mostra, donne sempre sminuite, sempre relegate a ruoli secondari, possibilmente con le cosce di fuori.
Basta, per favore, basta.
Scardiniamo questo schifo. Seppelliamolo sotto la montagna di merda che merita.